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Manituana Haiku - Wu Ming intervista il poeta Rossano Astremo

A proposito di una riscrittura di Manituana in forma di poema, un haiku per ogni capitolo

Annuncia sul suo blog lo scrittore e poeta Rossano Astremo:
Tra i buoni propositi del 2008 ci sarà quello di portare a compimento un lavoro iniziato un po' di mesi fa, una sorta di riscrittura in versi di Manituana di Wu Ming. Dedicare ad ogni capitolo del libro un haiku. Racchiudere l'epicità di una storia corale nel breve respiro di un componimento poetico. Qui ve ne offro un'anticipazione, chiarendo che nella scelta dell'haiku e nel non rispetto della scansione sillabica che lo caratterizza faccio mie le parole di Jack Kerouac: "Un Haiku occidentale non ha da badare alle diciassette sillabe dal momento che le lingue occidentali non possono adattarsi al fluido sillabico giapponese. Suggerisco che l'Haiku occidentale si limiti a dire molte cose in tre brevi versi in qualsiasi lingua dell'Occidente".
A scopo illustrativo, Astremo ha pubblicato i primi 13 haiku, relativi al prologo e alla prima parte del romanzo. Per fare un esempio, al capitolo 34 corrispondono questi versi:
Nella traiettoria di arcobaleni opachi
I sogni invadono la mente
Gocce d'acqua sulle labbra di Joseph.
Intrigati da questo progetto, abbiamo deciso di intervistare il collega. Di seguito, il nostro scambio via e-mail. Come sempre, per la versione stampabile cliccate "Print" in calce a questa pagina.

WM. Senz'altro inconsueto: gli autori di un'opera "principale" intervistano l'autore di un'opera "derivata". È un po' come se - ovviamente fatte salve le proporzioni e le innumerevoli differenze - J. R. R. Tolkien intervistasse gli autori del videogame "La battaglia per la Terra di Mezzo II". Poiché è inconsueto l'approccio, possiamo permetterci di aprire con una domanda banale: quando e come ti è venuta l'idea di scrivere un haiku per ogni capitolo di Manituana?

RA. L'idea è nata subito dopo aver terminato la lettura del romanzo. Nel taccuino sul quale ho iniziato ad "appuntare" gli haiku c’è una data, 3 maggio, che indica l'inizio di questa mia personale riscrittura di Manituana. Perché la poesia? Penso che il lavoro linguistico da voi compiuto nella realizzazione del romanzo sia stato davvero minuzioso e complesso. Mi azzardo a dire che rispetto agli altri due romanzi collettivi, Q e 54, la "questione della lingua" sia stato affare sul quale a lungo avete discusso. All'interno di questo marchingegno linguistico che ha donato forma e sostanza alle vicende che vedono protagonisti le Sei Nazioni Irochesi ho trovato davvero interessante la capacità di rappresentazione di quella che qualche recensore ha definito “la geografia dell’interiorità e dei comportamenti umani”. Pur essendo un romanzo con una forte connotazione epica, con un grande impianto corale, a lettura terminata a me venivano in mente quelle zone narrative in cui i singoli personaggi si trovavano immersi nella loro solitudine, in un corpo a corpo con gli spettri danzanti che le insidie della vita aiutano a creare. Su tutti potrei dire Philip Lecroix e Joseph Brant, naturalmente, ma mai come in questo libro le donne, da Molly a Esther, sono state analizzate così in profondità. In questi frame il linguaggio di Manituana si fa meno denotativo e più connotativo, stringatamente lirico e sospeso. Da qui l'idea, se vogliamo giocosa, di rileggere il libro estremizzando questa componente latente, ma comunque fortemente presente ai miei occhi. Ho detto giocosa, però nel contempo, tramite questa scelta compio anche un atto critico, interpretativo. Dare risalto ad alcuni elementi del testo rispetto ad altri. Considerate questo corpus di haiku come la mia personale recensione al testo. Perché l'haiku, quindi? In primis per darmi una forma chiusa che mi limitasse. Altrimenti, quasi certamente, mi sarei disperso. Cosa che è accaduta comunque, ma per altre ragioni. Poi, pur non rispettando la scansione sillabica tipica dell'haiku giapponese, c’è una frase di Jack Kerouac che mi ha molto colpito sulla questione: "Un haiku deve essere semplice e libero da tutti i trucchi poetici e creare una piccola immagine e tuttavia essere aereo e aggraziato come una Pastorella di Vivaldi". Bella no?

WM. Bellissima. Rimanendo sulla questione del poetico, è provato che il cervello umano "risponde bene" alle strutture triadiche e ternarie. I motti e gli slogan più efficaci sono composti da tre elementi: veni - vidi - vici, produci - consuma - crepa, credere - obbedire - combattere, Ein Volk - ein Reich - ein Fuhrer etc. Le più memorabili disposizioni di personaggi sono terzetti e triumvirati: Padre - Figlio - Spirito Santo, Cesare - Pompeo - Crasso, Il Buono - il Brutto - il Cattivo, Emerson - Lake - Palmer, Qui - Quo - Qua etc. Ragionando, ricorriamo a sillogismi (premessa maggiore - premessa minore - conclusione) o a schemi come tesi - antitesi - sintesi. In poesia, la terzina è la base metrica di composizioni immortali, su tutte la Divina Commedia. E potremmo andare avanti ancora a lungo. Anche l'haiku è composto di tre versi. Da poeta, quale funzione attribuisci, in genere, a ciascuno dei tre?

RA. Sì, è vero, si potrebbe continuare all'infinito con questa presenza massiccia nel nostro immaginario del numero tre, declinato secondo le più diverse funzioni. Il mondo dell'arte è pieno di numeri tre: Matrix, Matrix Reloaded e Matrix Revolutions; Il Padrino, Il Padrino parte II, Il Padrino parte III; le trilogie di Eschilo; il trittico di Giacomo Puccini,composto dai tre atti unici Il tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi. Anche Il buono, il brutto e il cattivo fa parte della trilogia del dollaro di Sergio Leone. E come dimenticare la trilogia dei colori di Krzysztof Kieślowski?
Smettendola di cazzeggiare e tornando alla domanda, come già detto in precedenza la scelta dell'haiku è stata dettata da una voglia di avere delle "restrizioni spaziali" ben precise. Detto questo, come potete notare dai testi apparsi sul mio blog, in ogni composizione ogni verso sembra bastare a se stesso, racchiudere in sé un'immagine ben precisa che non sbava nel verso successivo. E credo che l'idea sia quella di dare al primo verso il compito di introdurre il capitolo, il secondo di svolgerlo e il terzo di concluderlo. Ad esempio l'haiku del capitolo 25 della prima parte, quello che riguarda la morte di Mary, dice: "Canti, danze, racconti di ubriachi / La gioia flirta con il sordido dolore / Un cadavere di bambino, Mary nel sangue". È uno dei capitoli più strazianti del libro, eppure si apre con un clima festoso, di baldoria. Allora come racchiudere e spiegare in tre versi una simile ricchezza e complessità di contenuti? Il secondo verso, "La gioia flirta con il sordido dolore", mi sembrava potesse sintetizzare il repentino mutamento, l’appressarsi del dramma. Devo anche dire che, solitamente il mio modo di scrivere poesia è totalmente diverso da questo. Per me è un esperimento e come tale ritengo che in molti punti possa essere fallace.

WM. Secondo te il poema che stai scrivendo mantiene una sua autonomia dal romanzo di cui segue la capitolazione? Se uno leggesse gli haiku prima di aver letto il romanzo stesso, che idea potrebbe farsi di quest'ultimo?

RA. Colgo l'occasione per dire che mi piacerebbe terminare questo poema in haiku entro il 20 marzo del 2008, ad un anno esatto dall'uscita di Manituana. Avere una scadenza mi aiuterà a completarlo. Non nego di aver avuto dei ripensamenti al riguardo, soprattutto quando poi sono giunto in una zona linguisticamente folle che è quella che vede la comparsa a Londra dei Mohock. Come rendere quei capitoli? Mimare il loro slang o cercare di mantenere una sorta di omogeneità per tutto il lavoro? Alla fine ho optato per la seconda scelta e sono a buon punto, oramai. Detto questo, penso che ogni opera derivata sia più brutta dell’originale. In assoluto. Ogni film tratto da un romanzo ai miei occhi risulta sciatto e scadente. Quindi, chi leggerà il poema in haiku dopo aver letto Manituana troverà questa operazione inutile. Almeno nella maggior parte dei casi. Se, invece, uno leggesse gli haiku prima del romanzo, penso che potrebbe farsi suggestionare dall'immaginario che la poesia mette in moto. Non credo che potrebbe ricostruire i fatti, ma penso che potrebbe affezionarsi all'immagine solitaria e pensierosa di Lacroix o alla bellezza esangue di Esther, ad esempio. Nel senso che più volte i personaggi appaiono nelle composizioni, ma non sono portatori di azione, ma di sensazioni. Questo è un aspetto che mi incuriosisce, in verità. Capire se un’operazione derivata del genere può spingere, magari, un lettore di poesia e non di romanzi ad avvicinarsi a Manituana. Non ci resta che aspettare.

Nato nel 1979, è di Grottaglie (Ta). È giornalista pubblicista. Scrive per "Il Nuovo Quotidiano di Puglia". È il curatore del periodico di scrittura e critica letteraria "Vertigine". Collabora con l'Università degli Studi di Lecce al progetto "Il lettore di libri nella regione Puglia".
Ha pubblicato:
Corpo poetico irrisolto, edito dalla Besa nel 2003; Jack Kerouac. Il violentatore della prosa (Icaro Editore, 2006); L'incanto delle macerie (Icaro Editore, 2007).
Suoi testi critici e creativi sono sparsi su riviste cartacee, webzine e antologie.
Il suo romanzo La carne muore è scaricabile qui.

05.01.08 · in interviste

Manituana Haiku - Wu Ming intervista il poeta Rossano Astremo
In una foto vintage, Rossano Astremo esprime una sobria posizione di condanna nei confronti dell'intellettualità asservita

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