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Le guerre preventive di Libero

Articolo di D. Brullo apparso su "Libero" il 13 marzo 2007, una settimana prima che Manituana fosse pubblicato
Siamo entrati in possesso soltanto pochi giorni fa di questo interessante pezzo del poeta Davide Brullo (*). E' uscito una settimana prima dell'uscita di Manituana. Ci è parso utile riproporlo oggi ai nostri lettori, col senno di (oltre) due mesi dopo. Se vi è piaciuto Bonura, sarete entusiasti di Brullo! Buona lettura!

I rivoluzionari perdono la faccia
di DAVIDE BRULLO

Vi sono libri di cui, vista l'assoluta mancanza di uno standard stilistico accettabile, si può parlare prima ancora che vengano pubblicati. Quantomeno se disponiamo delle informazioni necessarie per capire dove l'autore vuole andare a parare. Per quanto riguarda il gruppo dei fantastici cinque, cioè dei Wu Ming, di notizie ne abbiamo a palate. Persino attorno al loro ultimo libro, "Manituana", che Einaudi, così dicono i bollettini, manderà in libreria il 20 di marzo. State certi: le dieci righe che scriviamo qui le riscriveremmo anche a lettura completa del libro in questione il quale, essendo privo di stile, cioè di letteratura, non c'importa in quanto libro ma in quanto saggio per giunta neppure autoriale.
Perché, così vuole la teoria di quelli che fanno la "rivoluzione senza faccia", ovvero tirano la pietra e nascondono la mano, fiondano la pallottola dalla cerbottana e poi se la filano sotto al tavolo, l'autore è morto e così lo stile e così la letteratura.
Romanzi polpettone Peccato però che i Wu Ming scrivano i loro polpettoni storici come si scriveva nell'Ottocento, peccato che dalla loro scrittura tardovittoriana non provenga una fiaccola verso un nuovo mondo, o quantomeno un vecchio mondo ricostruito o quantomeno un centro sociale occupato. E poi, come diavolo scriveranno a dieci mani i favolosi cinque? Capitan Sovietico scrive un capitolo e SuperGuevara un altro? Oppure scrive tutto l'Uomo Maoista e gli altri fanno l'editing? Misteri della scrittura collettiva e perciò collettivizzata e perciò comunista come fascista e perciò pressoché inutile da scrivere come da leggere. Noi non siamo giunti sulla terra per giudicare gli uomini, Dio ci scampi. Solo che qui non c'è alcuna opera da giudicare, e allora tanto vale scherzarci un po' sopra. Piuttosto, toglietevi lo sfizio di guardare il sito Internet, costruito dai sublimi cinque attorno al libro (www.manituana.com), che secondo noi è ancora più bello del libro perché, visto che questi scrivono libri come pensassero una pagina in Internet, tanto vale gettare il tomo e affrontare l'intertesto. In grafica scintillante c'è tutto quello che volete per punti: «Libro», «Trailer», «Luoghi», «Cronologia» e il «Livello 2», che spiega cosa sarà il sito a lettura del libro avvenuta. Insomma, il libro è il codice d'istruzioni per affrontare meglio il sito: tanto vale accontentarsi di quest'ultimo. Immancabile, poi, la sezione dei «racconti ammutinati», cioè i materiali esclusi dal libro ma che appartengono affettivamente al libro. Insomma, scarti di scarti propinati al lettore per incartarsi. Ma qui, lo ripetiamo, è come andare al cinema: non importa ciò che leggi, importa che ti lasci perdere, che ti fai un giro nella Wunderkammer, che ti sollazzi. Solo che dopo un giro al luna park anche un ciuco sente il bisogno di altro.
Antiamericani per convenienza In soldoni: i fantomatici cinque, che fanno tanto gli antiamericani, usano metodi promozionali parecchio americani, e un sito così te lo allestisce la Random House per il suo autore di spicco. Cioè, un sito che fa impallidire noi poveri allocchi a cui viene il callo dello studente perché consumiamo le penne sui taccuini. Il problema di questo romanzo ambientato nel 1775, «all'alba della rivoluzione che generò gli Stati Uniti d'America», che parla d'indiani, di grandi spiriti e penne e frecce (e non ci vuol molto per comprendere dove finirà la freccia, come di ogni romanzo dei beati cinque), non è il romanzo, ma il fatto che ce la vogliano contare come dicono loro. Si dirà, ogni scrittore fa così. Già, ogni scrittore. Ma questi scambiano il "come" con il "che cosa", cioè la scrittura con il manifesto politico. In sostanza, tutti i romanzi loro, come dice l'ammiccante claim che sponsorizza questo ultimo, sono un po' «una storia dalla parte sbagliata della Storia». Come se ne esistesse una giusta, di storia, e come se ne esistessero due, di storie, una con la "s" maiuscola, e una con la minuscola, per gli scemi e i proletari, come se ogni uomo non potesse rivivere ogni storia e tutte le storie dentro di sé; accidente, per inciso, che accade a tutti i romanzieri di razza, eccoci al punto, e non di cortile come questi. Qui si scambia la "morale", cosa che compete allo scrittore, con il "moralismo", cosa che compete un po' a tutti, che è poi la differenza tra uno che dice che il male è consustanziale a ogni uomo e uno che dice che il male sta solo lì, tra quelli che hanno il ceffo brutto. C'è chi scrive la storia del mondo, per l'appunto, e chi una sit-com per aficionados.
Letteratura di massa Così i grandiosi cinque, usando l'ascia bipenne dell'intrattenimento per riscrivere da par loro la storia, ci pigliano per i fondelli due volte: esteticamente - che è la cosa che importa - e ideologicamente. Insomma, se volete sapere qualcosa su questi benedetti indiani d'America leggetevi piuttosto il terzo volume di "Miti e leggende" curato magistralmente da Raffaele Pettazzoni per la Utet e dedicato ai pellerossa oppure l'altrettanto prezioso "Riti e misteri degli indiani d'America", curato da Enrico Comba per lo stesso editore (Torino 2003). O meglio ancora, fate scorpacciate di James Fenimore Cooper, probabilmente poco amato dai cinque samurai per le sue idee un po' troppo reazionarie, il pioniere della narrativa americana, uno per cui Balzac andava matto e da cui William Faulkner imparò due o tre cosette. Voi quanto meno leggete il ciclo dei così detti "Leatherstocking Tales", e riconciliatevi con gli States, ma soprattutto con la letteratura. Lo ammettiamo, pensiamo come Plutarco - e dunque con Shakespeare - che la storia la fanno i singoli uomini, grandi o piccoli, geniali o mediocri che siano, e ci vengono gli stessi crampi allo stomaco che venivano a Tacito al solo sentire la parola "massa". Aggettivo, direbbe Wystan H. Auden, nato cent'anni e un mese fa, che va bene per parlare di fisica ma non certo di uomini. Diceva il sommo poeta che faceva a gara con Mister Eliot che solo i beoti o i pessimi scrittori si rivolgono a un'ipotetica, impalpabile "massa"; i grandi, quando scrivono, pensano solo a quel singolo volto, a quello lì e basta, fin nelle sue precise sfaccettature, fin nei singoli solchi che lo arano, che ne dettano la storia e la sorte.

* Davide Brullo è nato a Milano nel 1979 e si è laureato all'Università Statale. E' autore del poema "Il fiume" (Smylife, Milano, 2003) e della raccolta "Annali" (Atelier, Borgomanero 2004).

29.05.07 · in recensioni

Le guerre preventive di Libero